nelle parole la storia
Ogni popolo si caratterizza, non solo per i tratti
somatici, ma anche e soprattutto per lidioma; č nella lingua, infatti, che si
contraddistinguono le diversitą o le analogie, si evidenziano le radici e gli
elementi che via via si sono determinati nei periodi di tempo, pił o meno ampi,
in cui le genti hanno popolato la Terra.
Per
conoscere un popolo si deve, perciņ, riflettere sulla lingua, sui modi di dire,
sulle intonazioni espressive con cui sono pronunciate le parole; in particolare
si deve ricercare letimologia delle parole (etimon per i Greci č lintimo
significato delle parole), che significa studiare lorigine delle parole.
Per
effettuare unindagine e scoprire attraverso le parole i segni che luomo ha
lasciato, ci si puņ servire della tecnica del carotaggio. Il carotaggio č
una tecnica di trivellazione del terreno, usata dagli esperti di geologia e di
paleontologia, che consente lestrazione di un campione cilindrico di materiale
(detto appunto carota), nel quale si possono leggere le composizioni
di terreno, ricercare sedimenti di origine umana e datare lepoca a cui tali
resti si riferiscono. Un lavoro simile č quello del glottologo che nelle sue
ideali carote cerca parole, incisioni, scritte, ma soprattutto confronti fra
varie parlate per scoprire affinitą o semplici assonanze, che permettono di
risalire a radici comuni. Il carotaggio vero e proprio consente di stabilire
gli stanziamenti dei popoli, mentre
lindagine linguistica ci permette di ipotizzare i movimenti e le
migrazioni di genti della stessa stirpe, anche da uno stesso punto di origine,
verso direzioni differenti.
Indagando
sul dialetto castelvetrese e sulletimologia di molte parole ancora oggi in
uso, č facile scoprire come esse sono la testimonianza di lontane genti
straniere che soggiornarono nel territorio o che vi transitarono in seguito a
occupazioni o a guerre combattute. Attraverso la seguente riflessione sulle
parole si č cercato di risalire ad avvenimenti del passato che caratterizzarono
la vita delle popolazioni che abitarono la valle del Fortore.
Per
comprendere, perņ, la storia locale occorre considerare la storia generale.
Sicuramente
il territorio di Castelvetere faceva parte di quei centri abitati che
componevano le province in cui fu divisa lItalia sotto il principato di
Augusto: la localitą di Castelmagno, territorio compreso tra
Castelvetere in Val Fortore, Baselice, San Bartolomeo in Galdo, č testimonianza
di uno di quei villaggi deserti, luoghi abitati e poi abbandonati per diverse
ragioni.
Nel
territorio, in cui č compreso il paese di Castelvetere, detto Sannio,
si stanziarono i Sanniti. Con il nome di Sanniti, a partire dal 450
a.C., si diffusero i Sabini nellItalia meridionale, dove conquistarono le
regioni osche comprese tra i corsi dei fiumi Sangro e Liri e limpervio
entroterra della Campania. Qui si trovano le montagne dellAppennino,
costituite di rocce calcaree, che formano, pił che una catena montuosa, un
intricato labirinto di massicci, contrafforti, rientranze variabili, non solo
per lunghezza e larghezza, ma anche per orientazione, intramezzati da valli
spesso senza sbocco.
Secondo
la tradizione pił accreditata la migrazione dei Sanniti si sarebbe realizzata
nelle forme rituali di un ver sacrum primavera sacra. Il ver sacrum
consisteva nel dedicare a una divinitą, di solito Ares/Marte o Mamerte, nome
sannita, tutti gli esseri viventi (uomini e animali) nati o che sarebbero nati
in un determinato anno. I bambini non venivano letteralmente sacrificati, ma
erano lasciati crescere come consacrati al dio e giunti al ventesimo anno di
etą, in sostituzione dellantico sacrificio, erano costretti ad abbandonare la
comunitą di appartenenza e a dirigersi verso nuove sedi, boschi o pascoli,
guidati da un animale sacro alla divinitą; lanimale poteva essere un lupo, un
toro, un picchio, un orso o forse un cervo. I Sanniti, durante una guerra
contro gli Umbri, fecero voto di consacrare agli dči tutto ciņ che sarebbe nato
in quellanno. Dopo la vittoria fecero immolazioni e consacrazioni, ma dopo una
carestia si accorsero che era necessario consacrare anche i figli, che, giunti
alla maggiore etą (ventesimo anno),
furono inviati a fondare una colonia: erano guidati dal toro, che si
fermņ a dormire nel paese degli Opici (Osci), che scacciarono e lģ
sacrificarono il toro. Opici era il nome greco e Osci la forma che prese in
Latino. Nulla si sa degli abitanti preistorici che furono sostituiti da tale
popolo prima della comparsa dei Sanniti, ma sicuramente erano i discendenti
dellhomo Aeserniensis, che circa un milione di anni fa si era stabilito
nella periferia dellattuale Isernia. Certamente nei suoi continui spostamenti,
per cercare corsi dacqua e la selvaggina, quel primitivo abitante avrą
percorso in lungo e in largo i nostri boschi e le nostre terre.
Allo
stesso modo si formarono tutte le tribł del Sannio: Carecini (uomini
delle rocce), Pentri (uomini dellinterno ma anche popolo montanaro), Caudini
(da Caudium, odierna Montesarchio), Irpini (uomini-lupo, dallOsco
(h)irpus e dal Greco lykos che significano lupo), Frentani (dal fiume
Frento, odierno Fortore).
Castelvetere
rientra in quel territorio abitato dai Sanniti Pentri, anche se al tempo di
Augusto risultava fra gli Irpini (nel dialetto castelvetrese cč la parola chiatėnė,
gora profonda del fiume, dallIrpino chiatra, pozza, Lat. clatra),
poiché i Romani non sempre rispettavano le divisioni tribali originarie, quando
incorporavano un popolo per la riorganizzazione del territorio.
Sin dai
tempi pił remoti fiumi e monti regolavano le vie di accesso al Sannio; molto
spesso erano sentieri aperti dalle greggi (i tratturi), che si
spostavano per raggiungere i pascoli di montagna destate e quelli di pianura
dinverno. Č la pratica della transumanza. Per i Sanniti gli animali pił
importanti erano le pecore per la produzione di latte e dei suoi derivati e per
la lana utilizzata per gli indumenti. In molte filastrocche castelvetresi si fa
riferimento al mestiere del pastore e alle pecore:
Marzė,
marzécchiė, lajėnė méjė tč nu parė dė kurnécchiė
Nu
pėkurarė da Pugghiė zė nė vč, dicė ka mammė ka zė volė anzurą
Ballė,
ballė la pčkurė, qwannė u lupė nėn cė sta; é jutė a Pugghiė a mčtė é u rėtornė
nėn zė sa.
Si puņ osservare che Castelvetere, come i paesi
vicini, era un luogo obbligato per il passaggio delle pecore, che andavano e
tornavano dalla Puglia, attraverso il tratturo che per il bosco Mazzocca,
Porcara, torrente Cervaro, Campogrande, Fortore, portava alle taverne di
Castelmagno. La tessitura era loccupazione principale delle donne sannite e
fino a qualche decennio fa anche delle donne castelvetresi:
Tčnkė na figghiė tėssėtricė: tčssė é tčssė
tuttė lannė, tridėcė misė nu vraccė dė pannė.
Numerose sono le parole che ricordano tale attivitą:
fėlą, fusė, tėlarė, kannéddė, kannavčddė,
lančddė, pannė, pannė a spinė dė péscė, pannė a qwatrigliė, pannė a rotė, pannė
da zita o doddė.
I Sanniti subirono, come ogni altro popolo,
linflusso di quelle civiltą con le quali vennero a contatto: la romana, la
campana e la greca. Dagli influssi ellenistici provenienti dalla vicina
Campania trassero ispirazione nel campo dellarchitettura e nellarte dello
scrivere, ma anche per il commercio, per la produzione di terracotte e per il
culto di divinitą, come Ercole.
Numerose sono le parole del dialetto castelvetrese
di origine greca:
ciņtėlė, cilėmė, cėkņrėjė, kantėrė, mantrė,
marpionė, mėlappėjė, nghonghė, putčkė,strummėlė
Nel 354 a.C.
i Sanniti stipularono un trattato con Roma per fornirsi un reciproco appoggio e
per difendersi da possibili invasioni dei Galli. Ben presto sorsero conflitti
per il possesso di territori fertili della Campania. Vi furono cosģ le Guerre
sannitiche. Nella seconda, la pił importante, ci fu la disfatta e
lumiliazione dei Romani alle Forche Caudine, da localizzare presso
lodierna Forchia (BN), nel 321. Durante la Terza guerra sannitica il console
L. Cornelio Scipione Barbato espugnņ Taurasia, il cui territorio Ager
Taurasinorum fra Luceria e Beneventum č localizzato nei pressi di San
Bartolomeo in Galdo. Nel 290 a.C. i Sanniti furono sottomessi e il territorio
compreso fra i corsi del Tammaro e del Fortore fu ridotto alla condizione di ager
publicus populi Romani.
(continua)
Dora Gina Barbarulo